E’ meglio andare a lezione o studiare sui libri a casa?

Pubblicato il da Maria Teresa Serafini

Mi alzo prima delle 7, prendo il treno, arrivo all’università, seguo diverse lezioni, ma non riesco a tenermi in pari con i programmi svolti dai docenti. Debbo dire che andando a lezione ho fatto dei nuovi amici (e questo mi piace molto), ma la sera arrivo a casa così stanca, dopo tutta una giornata in giro, che non ho più le energie per studiare. Comincio a sentirmi in ansia: si avvicina l’epoca  degli esami e ho paura che non sarò pronta. A volte ho la sensazione che forse sarebbe meglio che io me ne restassi   a casa a studiare sui libri piuttosto che perdere tempo all’università. Lei che ne pensa? Gaia

Per valutare se le convenga passare la giornata all’università o restare comodamente a studiare a casa,428549106_21207af05a.jpg cara Gaia, inizio a fantasticare su di lei…

Se arriva in aula trafelata, magari con dieci minuti di ritardo, perdendo l’iniziale elenco degli argomenti del giorno e, quindi, annaspando per un po’ senza cogliere il tema della lezione;

se  dimentica a casa le dispense del corso e non può seguirvi una lunga citazione che il docente vi legge, perdendo così  il significato del suo commento;

se segue in modo intermittente il professore  che parla, buttando l’occhio verso il sole che entra dai5173668266_43d1682c54.jpg finestroni, rilassandosi al ricordo della bella pizza  del giorno prima con una persona importante  per lei o riflettendo sul  difficile acquisto della lampada per il suo scrittoio;

se prende così pochi appunti  che poi rileggendoli non riesce a tirarne fuori il filo del discorso…e magari - che sfortuna - ha una sola penna che si scarica proprio all’inizio della lezione;

se non si sforza di fare domande all’insegnante in classe, e neppure, tra una lezione e l’altra, di chiedere spiegazioni ai suoi vicini  su argomenti che risultano oscuri e sistemare così gli appunti sul2603767826_d0a00418d0.jpg quaderno;

se trascorre tutte le ore vuote, senza lezioni, tra caffè,  panini, sigarette, cellulare e amene e occasionali chiacchiere

allora sì, lei ha ragione, è poco utile andare all’università e le converrebbe, invece, restare al  tavolo di  casa  con i libri degli esami, affrontandoli capitolo dopo capitolo, senza lo scomodo di alzarsi così presto e il disagio di un’intera giornata fuori casa.

Gaia, dalle sue parole posso solo fare delle ipotesi. Forse non sa organizzarsi? Forse ha difficoltà di concentrazione? Forse non conosce i meccanismi dell’apprendimento? In ogni caso, non si preoccupi, cerchi di capire i suoi problemi: vedrà che un po’ per volta riuscirà a superarli. Qui, oggi, vediamo solo una di queste ipotesi: la sua fatica a tenere la testa sui contenuti delle lezioni, cioè la sua tendenza a distrarsi.

La  distrazione  è un caratteristica non solo degli studenti, ma di tutti. Una ricerca dell’Università di Harvard prova che quasi la metà del tempo in cui siamo svegli la trascorriamo pensando ad altro rispetto all’attività in cui – apparentemente – siamo applicati (mind wandering). Trascorriamo il 47 % delle nostre giornate “da distratti”: la mente gironzola, divaga, se ne va sulle nuvole, allontanandosi dalla realtà tutte le volte che non siamo coinvolti, cioè tutte le volte che facciamo qualcosa che non ci piace, non ci interessa o è troppo difficile per noi (… e questo divagare della mente non ci rende felici).  La lezione di un docente, magari poco dotato di comunicativa, è un ottimo spazio per la distrazione, ma è possibile imparare a controllarsi e rendere proficua una mattina all’università. 

In inglese le persone efficienti, come i migliori studenti, vengono spesso etichettate goal directed, cioè non disperse tra tremila fronti, ma rivolte verso obiettivi precisi, cioè persone che tagliano via ciò che fa perdere tempo… In italiano non abbiamo un’espressione equivalente, ma il concetto è  chiaro. Se passiamo la nostra giornata all’università, dobbiamo essere determinati e in modo accanito proiettarci verso le nostre mete, i nostri compiti di studenti: preparare gli esami. Dobbiamo seguire le lezioni con attenzione, farci un piano e, ogni giorno,  concentrarci su un certo numero di temi e problemi, fino a dominarli. Arrivati alla sera, ci sentiremo contenti se, diversamente dalla sera precedente, sapremo con chiarezza, per esempio, le  fasi dell’evoluzione dei bambini secondo  Piaget o il concetto di struttura in Lévi-Strauss o la  classificazione dei tipi di scrittura nel mondo secondo Giorgio Raimondo Cardona…

Gaia, rilegga sopra l’elenco dei  “se” e provi a ragionare.  Se non cambia i suoi comportamenti nelle sue ore all'università - nel nostro gioco ipotetico -,  lei ha ragione, è inutile affrontare la calca del treno e la pioggia dell’inverno. Ma ricordi che, anche se resta a casa, dovrà sempre essere goal directed con i suoi obiettivi ben presenti.

 

 

 

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C
Quello che credo di aver capito dell'università è questo: ciò che conta è avere gli appunti più completi possibile e avere le prove di esame delle sessioni precedenti. Cercare di rispondere alle mille domande che sorgono studiando una qualsiasi materia è futile, fa perdere moltissimo tempo e dal punto di vista dell'esame è totalmente inutile. L'importante è imparare a memoria gli appunti e imparare a svolgere il tipo di esercizi dati all'esame. I libri sono sostanzialmente inutili, soprattutto quelli scritti da autori italiani (parlo qui di discipline scientifiche come fisica), trattandosi semplicemente di formulari nel peggiore dei casi o di appunti di lezioni ripuliti nel migliore.La loro utilità consiste semplicemente nel colmare piccoli vuoti che il professore potrebbe lasciare a lezione ma che lo studente non può avere agli esami, mentre i grandi vuoti possono essere legittimamente oggetto di rimostranza (non può chiedere qualcosa di cui non ha parlato a lezione).I libri sono inutili anche per un secondo motivo: lo stile, i contenuti, i dettagli e l'importanza data agli argomenti nei vari libri possono differire dai loro corrispettivi nell'esposizione del professore, e all'esame conta solo quel che professore ha insegnato, nel modo in cui l'ha insegnato. Portare agli esami il contenuto del libro e non degli appunti crea infatti molto spesso ogni sorta di attriti con il professore, che non condividendo l'impostazione del libro nei dettagli può spesso metterla in discussione, col risultato che lo studente deve padroneggiare la materia molto più a fondo dello studente medio, per poi rischiare un voto inferiore a causa del fatto che un esame che non scorra perfettamente "liscio" lascia una brutta impressione nel professore.<br /> Quindi, le lezioni servono? se non si dispone di appunti completi e chiari sì, altrimenti dipende dal professore: se è brillante l'opportunità di fare domande può valere il disturbo, ma comunque il fine è puramente di conoscenza personale e non è utile all'esame. Se non lo è, le sue lezioni sono un semplice riversare alla lavagna appunti che o ha in testa o ricopia dal foglio, con grande spreco di tempo suo e degli studenti.
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F
Per la Signora Serafini.<br /> <br /> Una risposta del genere?<br /> Lei ha davvero dato una risposta del genere?<br /> Una persona si rivolge a Lei implicando di ritenerla competente e affidabile al punto da chiederle aiuto e lei risponde con quello che chiama "gioco ipotetico"?<br /> Sta scherzando, vero?<br /> Qui c'è solo da offendersi. Le accuse indirette non aiutano proprio nessuno, servono solo a Lei per fare un "gioco di scrittura"; la Sua introduzione è così offensiva che è inutile Lei cerchi di salvarsi con una conclusione che poteva essere interessante, perché con un inizio del genere la gente smette di ascoltarLa.<br /> <br /> Auguri.